una storia, una notizia, o qualunque cosa valga la pena di essere raccontata



martedì 25 febbraio 2014

“NO TE VEO TE SIENTO” (Non ti vedo, ti sento)


Vi presentiamo Walter Lo Votrico, 49 anni e tifoso del San Lorenzo, nel settembre 1986 all’età di 23 anni è stato colpito da un glaucoma che gli ha fatto perdere la vista, con una grande forza ...di volontà è andato avanti, ha iniziato a lavorare in casa come massaggiatore e ha trovato l’amore sposando la ragazza che conosceva fin da bambino.
A Jorge Blanco confessa:
“Non mi è mai venuta in mente l’idea di smettere di andare allo stadio, mi ricordo che ero ancora ricoverato in ospedale e ho sentito per radio San Lorenzo-Boca ho sofferto troppo! Appena i medici mi hanno spedito a casa sono tornato allo stadio!”


Così Walter e tornato a fare parte della curva del San Lorenzo “Sono cresciuto in curva al Vecchio Gasometro da bambino andavo a vedere gli allenamenti, alla fine i giocatori ci facevano entrare in campo e ci insegnavano un po di tecnica e a calciare il pallone, a me sempre toccava il “Gringo” Scotta ma non ho imparato a calciare forte come faceva lui! Erano altri tempi, c’era un altra vita nei clubs, adesso i giocatori finiscono l’allenamento e vanno via, non ti cagano più!”L’ultima partita che Walter vide del San Lorenzo fu un Argentinos Juniors-San Lorenzo allo stadio dell’ Atlanta, il giorno che il bomber del San Lorenzo Walter Perazzo segnò un gol da centrocampo. “Ero nei settori popolari laterali per gli ospiti ho visto Perazzo alzar la testa e calciare il pallonetto vincente!”


Dopo la perdita della vista tornò allo stadio in compagnia di suo fratello Raul e dei suoi amici con lo striscione “MIS OJOS NO PUEDEN VERTE MI CORAZON PALPITA POR VOS” (I miei occhi non ti vedono il mio cuore batte per te), nel 1994 sposò Rosa e il giorno dopo il matrimonio si presentarono entrambi vestiti da sposi in curva contro il Platense (“El Fantasma del Descenso” gli rovina la festa vincendo 2-1 in trasferta). Un anno dopo il matrimonio finalmente una gioia per Walter, il San Lorenzo vince a Rosario contro il Rosario Central e grazie alla sconfitta interna del Gimnasia La Plata contro l’Independiente lo scavalca in classifica e vince dopo 21 anni uno scudetto “Siamo partiti al mattino presto, la autostrada Buenos Aires-Rosario era una festa, mi ricordo il rigore sbagliato da Netto e il silenzio, poi il risultato che si ribalta, che festa indimenticabile!!”
Nel 2012 con le nuove normative ha dovuto rifare lo striscione “NO TE VEO TE SIENTO” (Non ti vedo ti sento) e poi “AHORA AGUANTA CORAZON!” (Adesso resisti cuore!) lui spiega che il “resisti cuore” è riferito al fatto che il semestre era durissimo per i promedios e la retrocessione che si avvicinava, ma lui voleva soffrire e lottare a fianco della squadra.
Cosi che nel peggior momento del San Lorenzo del 2012, quando era con un piede e mezzo in Serie B (perdeva in casa 0-2 contro il Newell’s), Walter è stato immortalato in un video su yYoutube mentre esulta con la radiolina ed il bastone in mano il gol del 3-2 allo scadere, che regalava al San Lorenzo tre punti d’oro per la salvezza “Non so perché tutti parlano di quei festeggiamenti, mi hanno inquadrato ma se riprendevano dieci metri verso destra o sinistra avrebbero filmato la stessa immagine, gente che stava esultando!” “Nonostante la cecità mi piace fare la collezione di oggetti del San Lorenzo, maglie, gagliardetti di tutto so che può sembrare una cosa senza senso, io non li vedo ma so che ci sono e sono vicino a me! Se cerchi una logica a tutto questo non la troverai ma e passione per lo stemma, per il club, i colori e la maglia!”
Passione per il club, i colori e la maglia per questo motivo Walter e sempre al fianco del San lorenzo con la sua tuta “azulgrana”, il bastone e la radiolina.
Perche lui il San Lorenzo non lo vede ma lo sente! Eccome se lo sente!

 fonte
http://vamolopibe.wordpress.com/
Altro...

lunedì 17 febbraio 2014

#renzistaisereno

«...e anche questa l'è fatta e fatta bene», disse quello che ammazzò la moglie.


Foto: «...e anche questa l'è fatta e fatta bene», disse quello che ammazzò la moglie.

La Leggenda dell’Amore: Posillipo e Nisida

La Leggenda dell’Amore: Posillipo e Nisida "così eterno il premio, così, eterno il castigo."


Vi fu una volta un giovanetto leggiadro e gentile, nel cui volto si accoppiava il gaio sorriso dell'anima innocente, al malinconico riflesso di un cuore sensibile: egli era, nel medesimo tempo, festevole senza chiasso e serio senza durezza. Chi lo vedeva, lo amava; e la gente accorreva a lui, come ad amico, per allietarsi nella sua compagnia. Ma il bel
giovanetto fu molto, molto infelice; gli entrò nell'anima un amore ardente, la cui fiamma, che saliva al cielo, non valse ad incendere il cuore della donna che egli amava. Era costei una donna di campagna, cui era stato dato in dono la bellezza del corpo, ma a cui era stata negata quella dell'anima: ella era una di quelle donne incantatrici, fredde e malvagie che non possono né godere, né soffrire. Paiono fatte di pietra, di una pietro levigata, dura e glaciale; vanno in pezzi, ma non si ammolliscono; cadono fulminate senza agonizzare. Tale era Nisida, colei che fu invano amata dal giovinetto; poiché nulla valse a vincerla. Allora lui che si chiamava Posilipo, amando invano la bella donna che viveva di faccia a lui, per isfuggire a quella vista, che era il suo tormento e la sua seduzione, decise precipitarsi nel mare e finire così la sua misera vita. Decisero però diversamente i Fati e rimasto a mezz'acqua il bel giovanetto, vollero lui mutato in poggio che si bagna nel mare; ed ella è uno scoglio che gli è dirimpetto: Posilipo, poggio bellissimo dove accorrono le gioconde brigate, in lui dilettandosi, Nisida destinata ad albergare gli omicidi ed i ladri, che gli uomini condannano alla eterna prigionia - così eterno il premio, così, eterno il castigo.
(STORIE DI NAPOLI)

martedì 11 febbraio 2014

NAPOLI, LE GAZZE DELLA PIGNASECCA E L'ANELLO DEL VESCOVO.

"Bolla di scomunica". Ma indirizzata a chi? A quanti hanno esagerato con le battutacce? Alle malelingue di un quartiere troppo chiacchierone? Alle donne che hanno fatto la spia? O agli scugnizzi che hanno tirato giù dai rami la Mitra dello scandalo? No. Bisogna colpire alla fonte. Bolla di scomunica alle... Vediamo un po'... Ma si, "Scomunica" alle gazze ladre. E per chi non ci credesse, il documento dovrà essere affisso al pino più alto del "Biancomangiare". E non se ne parli più.
Foto: NAPOLI, LE GAZZE DELLA PIGNASECCA E L'ANELLO DEL VESCOVO.

"Bolla di scomunica". Ma indirizzata a chi? A quanti hanno esagerato con le battutacce? Alle malelingue di un quartiere troppo chiacchierone? Alle donne che hanno fatto la spia? O agli scugnizzi che hanno tirato giù dai rami la Mitra dello scandalo? No. Bisogna colpire alla fonte. Bolla di scomunica alle... Vediamo un po'... Ma si, "Scomunica" alle gazze ladre. E per chi non ci credesse, il documento dovrà essere affisso al pino più alto del "Biancomangiare". E non se ne parli più.

Brutta storia. Un sant'uomo, un uomo di chiesa, forse addirittura un ves... un Vescovo. Scoperto in casa... cioè, a letto. Con la perpetua. Per colpa di una gazza. Per colpa di una stramaledetta gazza dispettosa. "In nome di Dio, per la grave responsabilità che mi fu affidata in terra, nella qualità di vicario di Cristo, io, Vescovo di Napoli e delle sue province, scomunico, d'ora innanzi, tutte le gazze di questo quartiere, anzi... tutte le gazze di questa città". Deve essere andata più o meno così. Magari un po' più sul pomposo, magari col latinorum di manzoniana memoria, magari con tanto di timbro, in cera lacca, della Curia arcivescovile di Napoli. Ma la bolla di scomunica, per tutte le gazze della salita che, da piazza Carità, conduce dritto dritto, a Montesanto, è stata emessa veramente. Affissa al pino più alto dell'antico bosco "Biancomangiare", affinchè tutti potessero vederla. Brutta storia. Brutta storia, davvero. E siamo solo all'inizio. Quello che succederà dopo, tutto quello che mezza Napoli avrà modo di vedere coi suoi occhi, è solo il prologo di una delle più simpatiche e irriverenti leggende partenopee - con tanto di fantasma, naturalmente - tramandata di bocca in bocca fino a rimanere suggellata nel nome del quartiere che ne ha fatto da scenario: la Pignasecca. Andiamo per ordine e cominciamo dalla... fine. Da quello che succede oggi e che ancora, i più fortunati, possono sentire con le proprie orecchie. Per vivere in prima persona il brivido dei fantasmi della Pignasecca bisogna fare solo un piccolo sacrificio. Svegliarsi all'alba. Tirarsi giù dal letto, quando ancora la luce non ha inondato i vicoli e le stradine di Napoli, e scivolare lungo le vie deserte quando finestre e balconi sono rigorosamente "inserrati". Allora, solo allora, quando ci si lascia alle spalle piazza Carità, quando si supera il mercato del pesce e il grigio Ospedale dei Pellegrini, un suono, un lamento, un disperato coro dalle tonalità inquietanti rischia di lasciare senza fiato anche il più impassibile dei turisti d'oltre confine. Sono le gazze. O meglio, i fantasmi delle gazze scomunicate, che cantano a Napoli il loro dispetto. La loro condanna, per cotanta crudeltà.
Alla Pignasecca c'è chi è pronto a giurare di averle sentite davvero. Ma quel lamento, quel suono amaro non piace ai napoletani, che quasi per esorcizzare la nenia malefica, ogni mattina inondano il quartiere di mille voci decise a cancellare ogni grido del passato. Che cosa è mai accaduto in una delle più popolate e popolari strade di Partenope? Cosa risveglia i fantasmi delle gazze del magico bosco "Biancomangiare". La vicenda comincia qualche secolo fa. Questa volta ripartiamo dall'inizio. Anche se date, circostanze, nomi sono coperti dal più rigido segreto. E più non bisogna "dimandare". In quei tempi Napoli, città magica e lussuriosa, vive momenti di ricchezza e voluttà. Anche i quartieri più poveri si abbandonano al sensuale torpore dei periodi migliori. 
Gli amori clandestini, i pruriti irraccontabili dei figli di Partenope, non risparmiano nessuno. Meno che mai le gerarchie ecclesiastiche. Nel quartiere parallelo a Spaccanapoli, si intrecciano storie d'amore e di tradimenti, senza troppi riguardi per il sacro abito talare. Un unico inconveniente sembra perseguitare gli amanti distratti. Le gazze del bosco vicino penetrano nelle case abbandonate alle passioni e fanno incetta di tutto. Gioielli, monete d'oro, e finanche biancheria intima, scompaiono d'improvviso per riapparire, beffardi, su qualche albero della fitta pineta. Per i napoletani ci vuol poco. Chi rimane vittima dei curiosi furti non può che essere un adultero. Automatico. Ma che succede se su un pino della vergogna si ritrova una mitra vescovile, o magari il sacro anello della Curia? Il vescovo... Hai capito il Vescovo? Il vescovo e la perpetua... Giù risatine irriverenti, battute al vetriolo, volgarità irripetibili. 
Le voci corrono veloci. Arrivano nelle case della "gente onesta", delle mille donne che frequentano la chiesa. Poi, addirittura in Curia. Il vescovo e la perpetua. In casa... cioè, a letto. Brutta storia. Brutta storia, davvero.
Per porre rimedio allo scandalo, riunioni e contro riunioni. Consulti e confessioni. Poi si opta per la "Bolla di scomunica". Eccessivo, ma definitivo, il rimedio sembra convincere anche la Santa Sede. Una bella, seria, sacrosanta "Bolla di scomunica". Ma indirizzata a chi? A quanti hanno esagerato con le battutacce? Alle malelingue di un quartiere troppo chiacchierone? Alle donne che hanno fatto la spia? O agli scugnizzi che hanno tirato giù dai rami la Mitra dello scandalo? No. Bisogna colpire alla fonte. Bolla di scomunica alle... Vediamo un po'... Ma si, "Scomunica" alle gazze ladre. E per chi non ci credesse, il documento dovrà essere affisso al pino più alto del "Biancomangiare". E non se ne parli più.
Quando si tratta di difendere il buon nome dell'Istituzione, un po' di secoli fa, non si badava a spese. Detto fatto. Una bella mattina i napoletani ritrovano, su uno dei fusti della pineta, un cartello. "In nome di Dio, per la grave responsabilità che mi fu affidata in terra, nella qualità di vicario di Cristo, io, Vescovo di Napoli e delle sue province, scomunico, d'ora innanzi, tutte le gazze di questo quartiere, anzi... tutte le gazze di questa città". 
Fischi e pernacchi. In perfetto stile napoletano. 
Un episodio, un evento curioso e inquietante, finisce, però, per scuotere anche l'intramontabile voglia di "pazziare". Tre giorni. Solo tre giorni e il pino del bosco "Biancomangiare" perde, ad una ad una, le sue foglie. Ingiallisce. Si secca. E con lui tutti gli alberi della fitta pineta. Non solo. Anche le gazze dispettose finiscono per scomparire. D'un sol colpo, al posto del bosco, la leggenda popolare narra di una vasta distesa, arida e funesta: la Pignasecca. Sembra uno scherzo, ma la vicenda del vescovo sporcaccione ha finito per dare il nome ad una delle strade più antiche di Napoli. Ora di quella storia è rimasto solo un ricordo sbiadito. Non manca la battuta irriverente, non manca il sarcasmo anticlericale che, da sempre, contraddistingue i napoletani. Una sola cosa viene raccontata a bassa voce, col piglio severo, lo sguardo scuro e corrucciato: all'alba, quando ci si lascia alle spalle piazza Carità, quando si supera il mercato del pesce e il grigio Ospedale dei Pellegrini, un suono, un lamento, un grido del passato. Sono le gazze. I fantasmi della Pignasecca.

num. 151 - pag. 3 ( fonte il denaro.it)


Brutta storia. Un sant'uomo, un uomo di chiesa, forse addirittura un ves... un Vescovo. Scoperto in casa... cioè, a letto. Con la perpetua. Per colpa di una gazza. Per colpa di una stramaledetta gazza dispettosa. "In nome di Dio, per la grave responsabilità che mi fu affidata in terra, nella qualità di vicario di Cristo, io, Vescovo di Napoli e delle sue province, scomunico, d'ora innanzi, tutte le gazze di questo quartiere, anzi... tutte le gazze di questa città". Deve essere andata più o meno così. Magari un po' più sul pomposo, magari col latinorum di manzoniana memoria, magari con tanto di timbro, in cera lacca, della Curia arcivescovile di Napoli. Ma la bolla di scomunica, per tutte le gazze della salita che, da piazza Carità, conduce dritto dritto, a Montesanto, è stata emessa veramente. Affissa al pino più alto dell'antico bosco "Biancomangiare", affinchè tutti potessero vederla. Brutta storia. Brutta storia, davvero. E siamo solo all'inizio. Quello che succederà dopo, tutto quello che mezza Napoli avrà modo di vedere coi suoi occhi, è solo il prologo di una delle più simpatiche e irriverenti leggende partenopee - con tanto di fantasma, naturalmente - tramandata di bocca in bocca fino a rimanere suggellata nel nome del quartiere che ne ha fatto da scenario: la Pignasecca. Andiamo per ordine e cominciamo dalla... fine. Da quello che succede oggi e che ancora, i più fortunati, possono sentire con le proprie orecchie. Per vivere in prima persona il brivido dei fantasmi della Pignasecca bisogna fare solo un piccolo sacrificio. Svegliarsi all'alba. Tirarsi giù dal letto, quando ancora la luce non ha inondato i vicoli e le stradine di Napoli, e scivolare lungo le vie deserte quando finestre e balconi sono rigorosamente "inserrati". Allora, solo allora, quando ci si lascia alle spalle piazza Carità, quando si supera il mercato del pesce e il grigio Ospedale dei Pellegrini, un suono, un lamento, un disperato coro dalle tonalità inquietanti rischia di lasciare senza fiato anche il più impassibile dei turisti d'oltre confine. Sono le gazze. O meglio, i fantasmi delle gazze scomunicate, che cantano a Napoli il loro dispetto. La loro condanna, per cotanta crudeltà.
Alla Pignasecca c'è chi è pronto a giurare di averle sentite davvero. Ma quel lamento, quel suono amaro non piace ai napoletani, che quasi per esorcizzare la nenia malefica, ogni mattina inondano il quartiere di mille voci decise a cancellare ogni grido del passato. Che cosa è mai accaduto in una delle più popolate e popolari strade di Partenope? Cosa risveglia i fantasmi delle gazze del magico bosco "Biancomangiare". La vicenda comincia qualche secolo fa. Questa volta ripartiamo dall'inizio. Anche se date, circostanze, nomi sono coperti dal più rigido segreto. E più non bisogna "dimandare". In quei tempi Napoli, città magica e lussuriosa, vive momenti di ricchezza e voluttà. Anche i quartieri più poveri si abbandonano al sensuale torpore dei periodi migliori.
Gli amori clandestini, i pruriti irraccontabili dei figli di Partenope, non risparmiano nessuno. Meno che mai le gerarchie ecclesiastiche. Nel quartiere parallelo a Spaccanapoli, si intrecciano storie d'amore e di tradimenti, senza troppi riguardi per il sacro abito talare. Un unico inconveniente sembra perseguitare gli amanti distratti. Le gazze del bosco vicino penetrano nelle case abbandonate alle passioni e fanno incetta di tutto. Gioielli, monete d'oro, e finanche biancheria intima, scompaiono d'improvviso per riapparire, beffardi, su qualche albero della fitta pineta. Per i napoletani ci vuol poco. Chi rimane vittima dei curiosi furti non può che essere un adultero. Automatico. Ma che succede se su un pino della vergogna si ritrova una mitra vescovile, o magari il sacro anello della Curia? Il vescovo... Hai capito il Vescovo? Il vescovo e la perpetua... Giù risatine irriverenti, battute al vetriolo, volgarità irripetibili.
Le voci corrono veloci. Arrivano nelle case della "gente onesta", delle mille donne che frequentano la chiesa. Poi, addirittura in Curia. Il vescovo e la perpetua. In casa... cioè, a letto. Brutta storia. Brutta storia, davvero.
Per porre rimedio allo scandalo, riunioni e contro riunioni. Consulti e confessioni. Poi si opta per la "Bolla di scomunica". Eccessivo, ma definitivo, il rimedio sembra convincere anche la Santa Sede. Una bella, seria, sacrosanta "Bolla di scomunica". Ma indirizzata a chi? A quanti hanno esagerato con le battutacce? Alle malelingue di un quartiere troppo chiacchierone? Alle donne che hanno fatto la spia? O agli scugnizzi che hanno tirato giù dai rami la Mitra dello scandalo? No. Bisogna colpire alla fonte. Bolla di scomunica alle... Vediamo un po'... Ma si, "Scomunica" alle gazze ladre. E per chi non ci credesse, il documento dovrà essere affisso al pino più alto del "Biancomangiare". E non se ne parli più.
Quando si tratta di difendere il buon nome dell'Istituzione, un po' di secoli fa, non si badava a spese. Detto fatto. Una bella mattina i napoletani ritrovano, su uno dei fusti della pineta, un cartello. "In nome di Dio, per la grave responsabilità che mi fu affidata in terra, nella qualità di vicario di Cristo, io, Vescovo di Napoli e delle sue province, scomunico, d'ora innanzi, tutte le gazze di questo quartiere, anzi... tutte le gazze di questa città".
Fischi e pernacchi. In perfetto stile napoletano.
Un episodio, un evento curioso e inquietante, finisce, però, per scuotere anche l'intramontabile voglia di "pazziare". Tre giorni. Solo tre giorni e il pino del bosco "Biancomangiare" perde, ad una ad una, le sue foglie. Ingiallisce. Si secca. E con lui tutti gli alberi della fitta pineta. Non solo. Anche le gazze dispettose finiscono per scomparire. D'un sol colpo, al posto del bosco, la leggenda popolare narra di una vasta distesa, arida e funesta: la Pignasecca. Sembra uno scherzo, ma la vicenda del vescovo sporcaccione ha finito per dare il nome ad una delle strade più antiche di Napoli. Ora di quella storia è rimasto solo un ricordo sbiadito. Non manca la battuta irriverente, non manca il sarcasmo anticlericale che, da sempre, contraddistingue i napoletani. Una sola cosa viene raccontata a bassa voce, col piglio severo, lo sguardo scuro e corrucciato: all'alba, quando ci si lascia alle spalle piazza Carità, quando si supera il mercato del pesce e il grigio Ospedale dei Pellegrini, un suono, un lamento, un grido del passato. Sono le gazze. I fantasmi della Pignasecca.

num. 151 - pag. 3 ( fonte il denaro.it)









martedì 4 febbraio 2014

Aretha Franklin - I say a little prayer





Quando ero piccolo,mi chiedevo spesso "Che cos' è l' amore" Poi per caso alla radio ascoltai Aretha Franklin  cantare: I say a little prayer . E trovai le mie risposte.



(ZzZ)

Il 25 marzo esce "#CurreCurreGuagliò 2.0

"Il 25 marzo esce "#CurreCurreGuagliò 2.0", il nostro primo disco che compie 20 anni, riarrangiato, reinterpretato, riletto e risuonato. 18 brani, 4 inediti, una marea di ospiti. Questa è la copertina". I 99 Posse annunciano su Facebook la reinterpretazione dell'album d'esordio.


Foto: "Il 25 marzo esce "#CurreCurreGuagliò 2.0", il nostro primo disco che compie 20 anni, riarrangiato, reinterpretato, riletto e risuonato. 18 brani, 4 inediti, una marea di ospiti. Questa è la copertina". I 99 Posse annunciano su Facebook la reinterpretazione dell'album d'esordio. (REPUBBLICA.IT)
(REPUBBLICA.IT)

FRATELLI D' ITALIA.


Foto: Fratelli d' Italia.

ZANZASTATE

zZzapenzieri...


Il Ricordo. Ecco la chiave di tutto è lì. Nel Ricordo ci sono gli IO passati, e ogni IO ha un amore, una delusione, una vita diversa. Il Ricordo, è l' unico legame che abbiamo con il nostro IO precedente.E' la nostra reincarnazione, la scintilla che ci fa rinascere, di volta in volta. Il Ricordo è la pensione della nostra mente.Ecco perchè, giorno dopo giorno, siamo costretti a vagare per le strade, cercando di catturare avidamente ogni singolo istante di vita che può generare un Ricordo. Perchè vedete, quando saremo vecchi, vivremo in una dimensione che gli altri bolleranno con il nome di Follia, ma che noi chiameremo semplicemente, tenera Felicità. Quella felicità Figlia del nostro Ricordo più bello.
(ZzZ)

sabato 1 febbraio 2014

DORINA da SORRENTO, LA DONNA CHE FECE INNAMORARE I NAPOLETANI.



A Napoli il piacere abitava qui.Vico Sant´Anna di Palazzo al n. 3 sorgeva lo storico "La Suprema"( l´attuale Chiaja Hotel De Charme ).A "La Suprema" i facoltosi avventori attendevano Nanninella a´ spagnola, Mimì d´‘o Vesuvio, Anastasia ‘a friulana . Ma tutti i clienti della "casa" erano innamorati di Dorina da Sorrento. E ogni volta che si recavano alla "Suprema" chiedevano della giovane sorrentina. Ormai avanti con l' età, si ritirò nella sua casa a Sorrento. Sulla sua tomba volle far scrivere soltanto il suo nome d' arte: Dorina.

FONTE PULCINELLA291.

PADRE LORENZO MASSA. Fundador del Club San Lorenzo de Almagro.

«Vi offro il campo dell’oratorio se domenica venite a messa» Così nacque il SanLorenzo de Almagro.

L’oratorio “Sant’Antonio” di padre Lorenzo sorgeva in calle Mexico 4050, ma i ragazzi preferivano trascorrere il loro tempo giocando a calcio su strade che i primi tram avevano cominciato a rendere pericolose. Quando uno di loro morì investito, padre Lorenzo si fece venire un’idea per scongiurare un’altra disgrazia. Scese in strada e propose a quei guasconi che si facevano chiamare Los Forzosos de Almagro (I forti di Almagro): «Vi offro il campo dell’oratorio se domenica prossima vi fate vedere a messa». Seguirono sguardi circospetti, finché il patto non fu siglato con una bella stretta di mano.

Il primo aprile 1908 grandi diatribe onomastiche precedettero la fondazione del San Lorenzo de Almagro: chi suggeriva El Almagreño, chi Centinela de Quito, chi Rio de La Plata. Alla fine furono tutti d’accordo: “San Lorenzo”, in omaggio a padre Lorenzo, al Santo Martire della Chiesa cristiana e alla battaglia decisiva con cui il generale San Martín aveva conquistato l’indipendenza dell’Argentina dalla Spagna; “de Almagro” fu aggiunto dal leader del gruppo, Federico Monti, detto Il carbonaio dal mestiere dei suoi genitori, che fino al 1914 sarebbe stato il tesoriere della società (appena centoventisette pesos di “capitale azionario”!) e uno dei trascinatori della squadra verso la promozione nella Primera División, nel 1915.

Poi arrivò anche uno stadio, all’incrocio tra Inclán e Las Casas, al numero 1700 di Avenida La Plata. Fu battezzato Gasómetro, come i gasometri adiacenti all’impianto sportivo, e fu inaugurato nel maggio del 1916 da una partita della Copa Campeonato tra il San Lorenzo e l’Estudiantes, finita 2-1 per i padroni di casa davanti a un pubblico di duecento spettatori. Tanti ne poteva contenere allora lo stadio che sarebbe riuscito a ospitarne fino a settantacinquemila, e che sarebbe stato a lungo il tempio dei Cuervos e la cornice di molte pagine storiche del calcio argentino.
FONTE STORIE DI SPORT.