una storia, una notizia, o qualunque cosa valga la pena di essere raccontata



venerdì 29 aprile 2011

29 APRILE, SPAGHETTI ROOTS LIVE@COVENT GARDEN

Covent Garden (WOLF'SLAND) tonight special menù: Spaghetti Roots in soulsa carottese , sasiccia con friAiello, cotoletta alla burkinaro, soutè di maruzze e starnone imbottito, dolce chito'chiest, Vino Rosso della cantina Di Sevo, Amaro del Caso cucina lo Chef Kalì de Teneris che vi avvisa: "E' NA' CUCINA PAESANA E' UNA CURA CHE TI SANA.... "

29 aprile 1990: NAPOLI CAMPIONE D'ITALIA


Il racconto da Soccavo al San Paolo tra la gente e nel pullman. L’eroe Baroni: gol che consegnò il secondo titolo

Marco Baroni
Marco Baroni
NAPOLI - «Quel giorno», il 29 aprile del 1990, mi toccò di scortare i calciatori del Napoli dal ritiro di Soccavo - molto più scalcagnato rispetto a Castelvolturno, ma forse più in sintonia con il battito del cuore dei tifosi - al San Paolo. Fu una esperienza forte, fortissima, quasi simile a quella vissuta durante la notte eterna del primo scudetto. Mancò forse la battuta fulminante (lo striscione posto all’ingresso del cimitero di Poggioreale: che cosa vi siete perduti) ma la voglia di riscrivere la storia era la stessa. E anche il presidente era lo stesso: Corrado Ferlaino, importante come Maradona, ma forse anche di più perchè fu lui a spingerlo verso Napoli.
Vent’anni dopo proviamo a riavvolgere il film dello scudetto che Berlusconi, Galliani e Arrigo Sacchi si affannarono a far passare come «quello dello scandalo della monetina che colpì Alemao e della vittoria negata al Milan» ma che, invece, fu pienamente meritato. E la conferma viene da Salvatore Carmando, il massaggiatore di Diego Armando Maradona, l’uomo che conosce tutti i segreti dello spogliatoio azzurro e non ha alcuna voglia di aprire lo scrigno. «Hanno provato a sporcare la nostra vittoria, ma io rifarei tutto quello che feci quel pomeriggio a Bergamo». Non riusciamo a cavargli di più e, onestamente, neanche ci proviamo perchè la storia non si scrive con i se e con i ma. Ma con i fatti e con i successi ottenuti sul campo e qui i conti sono tutti per il Napoli che vinse con due punti di vantaggio: 51 contro i 49 del Milan.
Secondo scudetto: fotogallery

Ma non perdiamo il filo del discorso che avevamo inziato e rituffiamoci nella bolgiadei tifosi che accompagnano i giocatori allo stadio prima dell’inizio della partita decisiva. La matematica certezza dello scudetto sarebbe venuta solo battendo la Lazio ma i tifosi sapevano già come sarebbe finita. Due ali di folla osannanti, come scriveva il cronista che commentava i comizi del Duce, e migliaia di mortaretti che disegnavano in cielo presagi di azzurro. Sul pullman, manco a dirlo, l’atmosfera era ben diversa, gli scongiuri si sprecavano e Maradona, avendo come spalla Massimo Mauro, oggi commentatore di Sky, e Fernando De Napoli da Chiusano San Domenicop nel cuore dell’Irpinia più tagliata fuori dal mondo, si sforzava di tenere alto il morale della truppa. Albertino Bigon, l’allenatore che poi è il papà dell’attuale direttore sportivo del Napoli, Riccardo, era come impietrito. Da Soccavo al San Paolo non è che la distanza sia tanta, ma la motorcade durò oltre un’ora e per i calciatori l’arrivo nel buio del sottopassaggio dello stadio fu come una liberazione. In campo le cose, per fortuna andarono come «dovevano» andare, ma l’eroe della giornata non fu Diego, invocato come salvatore della patria calcistica, nè tantomeno Careca o Carnevale, i goleador abituali, ma un ragazzotto fiorentino, Marco Baroni, un onesto «operaio» del calcio, che realizzò il gol decisivo, l’unico della partita, ma bastò. «Con quel gol sono entrato nella storia del calcio, e quando ripenso a quel giorno ancora mi vengono i brividi. Grazie Napoli».

E perfino l’algido Albertino Bigon perde l’abituale self control e scioglie un inno ai tifosi azzurri. «E’ vero, io sono un tipo freddo, ma quella emozione mi accompagnerà finchè campo. Auguro a mio figlio Riccardo di vivere la stessa gioia e Napoli, ne sono sicuro, gliela darà». Glielo auguriamo anche noi, significherebbe che la società ha di nuovo scalato il tetto del mondo calcistico. Ha ragione Crippa, la società è sulla buona strada, ma c’è ancora tanta strada da fare. E Castelvolturno è molto più lontana di Soccavo dal San Paolo. Oltre la metafora abbiamo scelto di brindare ai venti anni del secondo scudetto dando il giusto risalto ai personaggi di seconda fila rispetto a Diego, a Careca, a Carnevale, a Ferrara abituati a rubare la scena. Ma un omaggio a Maradona con la firma del suo massaggiatore scioglie il sangue nelle vene: «Me stanno facenno ’na capa tanta con Messi, ma come si fa a paragonarlo al più grande di tutti tempi»? Siamo d’accordo con il popolare Salvatore, ma chiudiamo con un paragone tra i due scudetti. Il migliore sarà il terzo. Quello che verrà.
Carlo Franco CORRIEREDELMEZZOGIORNO.IT

Napoli 1-0 Lazio - Campionato 1989/90


Esattamente ventuno anni fa, il 29/04/1990, il Napoli conquistava il suo secondo scudetto. Un goal del difensore Marco Baroni contro la Lazio sancì la vittoria finale in campionato
areanapoli.it

giovedì 28 aprile 2011

CONCORSO PANINI, ECCO I CAMPIONI PIU’ AMATI NEGLI ULTIMI 50 ANNI

ANCHE MARADONA, RIVA E FALCAO TRA I PREMIATI DAL SONDAGGIO PANINI

Grande successo del sondaggio lanciato da Panini per individuare i campioni più amati nell'ultimo mezzo secolo di storia del calcio italiano. Oltre 400.000 collezionisti dell'album “Calciatori 2010-11” hanno votato, scegliendo fra 300 giocatori selezionati da una giuria di esperti fra le oltre 15000 figurine di Serie A pubblicate su “Calciatori” dal 1961-62 ad oggi. Si è così formato il "Top Team Panini 50", una rosa di 18 giocatori (11 titolari e 7 riserve), vero fiore all'occhiello del mitico album che celebra cosi' la sua 50° edizione. Il calciatore più votato in assoluto è risultato Gianluigi Buffon, con quasi 20.000 preferenze.

portieri: Gianluigi Buffon, Dino Zoff
difensori: Gaetano Scirea, Franco Baresi, Giacinto Facchetti, Paolo Maldini, Fabio Cannavaro
centrocampisti: Michel Platini, Giancarlo Antognoni, Zinèdine Zidane, Paulo Roberto Falcão, Giacomo Bulgarelli, Luis Suarez
attaccanti: Diego Armando Maradona, Gigi Riva, Marco Van Basten, Roberto Baggio, Alessandro Del Piero


Le figurine di questi 18 calciatori saranno stampate e inviate su richiesta da Panini a chi vorrà completare l’album “Calciatori 2010-11”, insieme agli aggiornamenti dei giocatori che hanno cambiato squadra a gennaio 2011. Inoltre, tra tutti i votanti, sono stati estratti 15 esclusivi pacchetti-viaggio per 2 persone per poter visitare gli storici stabilimenti Panini a Modena e vedere come nascono le figurine “Calciatori”.
A metà maggio Panini organizzerà a Milano un grande evento ad inviti per celebrare i 50 anni della collezione “Calciatori” e per la consegna dei prestigiosi trofei “Calciatori50” ai giocatori selezionati. A questo evento interverranno anche i vertici di AIC, AIAC, Lega Serie A e Lega Serie B, Federcalcio e AIA, alti dirigenti di club e tanti grandi campioni del calcio italiano di ieri e di oggi.

28 APRILE, BUON COMPLEANNO A "IL MANIFESTO"


il manifesto

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il manifesto è un quotidiano di indirizzo comunista fondato nel 1969.
Non è un quotidiano di partito, non avendo aderito a nessun partito o gruppo politico organizzato. Appartiene a una cooperativa di giornalisti e dà un notevole contributo alla riflessione politica della sinistra italiana.
Dal 6 giugno 2008 è stata rinnovata la grafica che conserva ugualmente le particolari "prime pagine", caratteristiche di questo quotidiano.

Unicità nella gestione e nel trattamento economico

Gestito da un collettivo di giornalisti si trova a non avere una proprietà davvero distinta dalla redazione, con giornalisti che sono editori di se stessi.
Tutti i lavoratori sono soci della cooperativa, compresi i tecnici addetti alla stampa, e hanno lo stesso stipendio. Per questo spesso non partecipa agli scioperi dei giornalisti contro gli editori, andando comunque in edicola, ma ospitando alcune pagine con le ragioni degli scioperanti.

 

Le origini

Nasce in origine come rivista politica mensile, diretta da Lucio Magri e da Rossana Rossanda. Alla redazione del primo numero, uscito il 23 giugno 1969 con una tiratura di 75.000 copie per le Edizioni Dedalo, partecipano Luigi PintorAldo NatoliValentino ParlatoLuciana Castellina e Ninetta Zandegiacomi.
Il periodico nasce dalla componente più "a sinistra" del Partito Comunista Italiano (PCI) che con Pietro Ingrao aveva sostenuto nel corso dell'XI congresso alcune battaglie per la democrazia interna al partito e sollevato la questione del "modello di sviluppo" in contrapposizione alla componente più "moderata" del partito, capeggiata da Giorgio Amendola.
L'idea di dare vita a una pubblicazione autonoma risale all'estate del 1968, ma viene congelata in vista del XII congresso del PCI, dove, peraltro, Pintor, Natoli e Rossanda non avevano votato in comitato centrale le tesi.
La rivista assume posizioni in contrasto con la linea maggioritaria del partito (in particolar modo rispetto all'invasione Sovietica in Cecoslovacchia, con l'editoriale uscito nel secondo numero intitolato "Praga è sola") che ne chiede la sospensione delle pubblicazioni. Il Comitato centrale del PCI del 24 novembre 1969 delibera la radiazione per Rossana Rossanda, Luigi Pintor e Aldo Natoli con l'accusa di "frazionismo". Successivamente viene adottato un provvedimento amministrativo per Lucio Magri e non vengono rinnovate le iscrizioni per Massimo Caprara (dal 1944, per 20 anni, segretario personale di Togliatti), Valentino Parlato e Luciana Castellina.

28 aprile: le vostre storie. Io c'ero, io ci sono
di Norma Rangeri
 
Quel mercoledì mattina di quarant'anni fa un nutrito gruppo di redattori e fondatori, Luigi Pintor in testa, prese un bel pacco di copie, scese dal quinto piano di via Tomacelli e raggiunta la vicina via del Corso iniziò a diffondere il giornale, anche infilandolo nei finestrini delle auto di passaggio. In tutta Italia fu organizzata una vendita straordinaria. Ciascuno dei protagonisti di quell'emozionante 28 aprile serba di quel momento un suo ricordo. Così, quando tra un mese festeggeremo i nostri primi quarant'anni, ci piacerebbe avere dai nostri lettori una testimonianza su quella nascita: un «io c'ero» per rivivere un'avventura che si è fatta storia.
Alle istantanee pescate nella memoria di quella generazione, vorremmo affiancare i sentimenti dell'oggi: un «io ci sono» che racconti le ragioni di un'esperienza che continua, nonostante le difficoltà. Che nel tempo sono cresciute perché la crisi aziendale si è appesantita, la sinistra si è eclissata, il futuro della nostra impresa è una ripida salita, il rischio di chiusura sempre dietro l'angolo dentro uno stato di crisi che morde questo collettivo di lavoro.
Eppure, nonostante tutto, il prossimo 28 aprile avrà il sapore di un compleanno molto speciale, di una guerra vinta, almeno quella con il tempo e la ragione. Perché continuiamo «a puntare tutto sul rosso anche se la roulette ha maledettamente due colori», come scriveva Pintor nel primo decennale del manifesto. Per questo chiediamo ai lettori di sempre e a quelli che hanno incontrato il giornale nei tempi recenti di scriverci come è avvenuto.
Nel frattempo stiamo lavorando per migliorare le nostre pagine, per rendere interessante il sito. Non anticipiamo le novità, speriamo di riuscire a rispettare la tabella di marcia per essere presto in edicola e in rete con una nuova edizione. Subito però possiamo dire che il 28 aprile il manifesto sarà venduto a 50 centesimi, che in alcune città stiamo organizzando feste di compleanno e che, per il mese di maggio, è in cantiere un convegno internazionale sulla primavera araba.
Sopravvivere e crescere è più difficile che nascere (è così anche nella vita), oltrepassare i quarant'anni è un traguardo magnifico tanto più quando, come questa volta, abbiamo rischiato di non arrivarci. Ed è con voi che vogliamo festeggiare.

GIUSTIZIA è FATTA,Ue: "Clandestini non punibili con carcere"


La Corte di Giustizia del Lussemburgo boccia la legge italiana che introduce il reato di clandestinità punibile con la reclusione perché in contrasto con la direttiva comunitaria sui rimpatri. L'organismo invita il giudice nazionale a disapplicare la legge.  

BRUXELLES - La Corte di Giustizia della Ue boccia la norma italiana che prevede il reato di clandestinità, introdotto nell'ordinamento italiano nel 2009 nell'ambito del "pacchetto sicurezza". Punendo la clandestinità con la reclusione, la norma è in contrasto con la direttiva europea sui rimpatri degli irregolari, spiegano i giudici europei, la cui più importante prerogativa è garantire che la legislazione Ue sia interpretata e applicata in modo uniforme in tutti i paesi dell'Unione.

Laura Boldrini, portavoce dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati, non è sorpresa. "La sentenza è coerente e in armonia con quanto già espresso dai giudici italiani - afferma all'Ansa -. La Corte costituzionale e la Cassazione avevano già rilevato come punire con la detenzione il mancato allontanamento del migrante fosse una misura sproporzionata e inutile". Ora l'Unhcr "auspica che la direttiva Ue sui rimpatri venga quanto prima recepita, poiché stabilisce in modo chiaro le modalità di allontanamento dei migranti irregolari e ribadisce anche l'inderogabilità del principio del non respingimento per richiedenti asilo e rifugiati". Anche Oliviero Forti, responsabile nazionale immigrazione della Caritas, si aspetta "che venga recepita la direttiva dell'Unione europea sui rimpatri e sia rispettata la sentenza europea".


A porre in contrasto la legge italiana con la direttiva comunitaria, si legge in una nota diffusa dalla Corte di Giustizia del Lussemburgo, è la reclusione con cui l'Italia punisce "il cittadino di un paese terzo in soggiorno irregolare che non si sia conformato a un ordine di lasciare il territorio nazionale". Reclusione che compromette la realizzazione dell'obiettivo della direttiva Ue "di instaurare una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali".

Compromette l'obiettivo della direttiva comunitaria, ad esempio, il caso di Hassen El Dridi, algerino condannato a fine 2010 a un anno di reclusione dal tribunale di Trento per non aver rispettato l'ordine di espulsione. Sentenza che El Dridi ha impugnato presso la Corte d'appello di Trento, da cui è partita la richiesta alla Corte di Giustizia di chiarire se la legge italiana sia in contrasto con la direttiva Ue sul rimpatrio dei cittadini irregolari di paesi terzi.

Secondo i giudici europei, "gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all'insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all'allontanamento coattivo, una pena detentiva, come quella prevista dalla normativa nazionale in discussione, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio nazionale e il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare su detto territorio".

In conseguenza della sentenza Ue, conclude la Corte del Lussemburgo, il giudice nazionale "dovrà quindi disapplicare ogni disposizione nazionale contraria alla direttiva - segnatamente, la disposizione che prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni - e tenere conto del principio dell'applicazione retroattiva della pena più mite, che fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri".

In tema di rimpatri, quindi, la Corte riafferma come gli Stati membri non possano applicare regole più severe di quelle previste dalle procedure della direttiva Ue. Una procedura divisa in più fasi. La prima consiste nell'adozione di una "decisione di rimpatrio", nell'ambito della quale va accordata priorità, spiega ancora la Corte, "a una possibile partenza volontaria, per la quale all'interessato è di regola impartito un termine compreso tra sette e trenta giorni". Nel caso in cui la partenza volontaria non sia avvenuta entro il termine stabilito, "la direttiva impone allo Stato membro di procedere all'allontanamento coattivo, prendendo le misure meno coercitive possibili". Lo Stato può procedere al fermo soltanto "qualora l'allontanamento rischi di essere compromesso dal comportamento dell'interessato". Il trattenimento deve avere "durata quanto più breve possibile", essere "riesaminato a intervalli ragionevoli", deve cessare "appena risulti che non esiste più una prospettiva ragionevole di allontanamento" e la sua durata "non può oltrepassare i 18 mesi". Inoltre, ricorda la Corte di Giustizia, "gli interessati devono essere collocati in un centro apposito e, in ogni caso, separati dai detenuti di diritto comune".

Nel giugno dello scorso anno, la Corte Costituzionale italiana si era invece espressa sull'illegittimità della clandestinità come "aggravante", introdotta nel 2008 col primo "pacchetto sicurezza" del governo e  determinante un aumento di pena fino a un terzo. La Corte Costituzionale aveva considerato "discriminatoria" l'aggravante della clandestinità e in contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione. La Consulta aveva invece dato un sostanziale via libera al reato di clandestinità, punito con l'ammenda da 5 mila a 10 mila euro.



repubblica.it

COSTITUZIONE DI MOSQUITO'S LAND

Visto che Mosquito's Land è diventata indipendente sono impegnato con i miei colleghi zanzari a scrivere la costituzione, ecco i primi 3 art: 1 Mosquito's Land è una Rep.Popolare fondata sulla MUSICA e sull' Armonia, art 2 A mosquito's Land non esiste il reato di clandestinità, art 3 A Mosquito's land si può tifare solo NAPOLI o al max essere simpatizzanti dello SPARTAK MOSCA...(costituzione in progress)

mercoledì 27 aprile 2011

A MOSQUITO'S TOWN ESPOSIZIONE DI ZANZA-DALì

SCAMPIA, SPUNTANO FIORI SUL CEMENTO


Spuntano fiori sul cemento. Campanule azzurre su cui si posano farfalle, un’enorme margherita tra le mani di una bimba bionda, poi ciliegie, profili di donna, cardellini, ruscelli, soli, girotondi. E moltissime lettere, ovunque, a formare nomi o frasi intere, di tutte le forme i colori le dimensioni. C’è vita sul grigio della periferia settentrionale di Napoli, ce n’è dalle origini, dai primi anni Settanta, da quando è cominciata la colata di calcestruzzo dell’edilizia popolare, dall’arrivo dei senzatetto e poi dopo l’80 dei terremotati (ma anche di tante famiglie della piccola borghesia nelle case di cooperativa). Dai tempi in cui Felice Pignataro portava gli scolari a disegnare murales tra la 167 e il Rione Monterosa. Dalle apparizioni delle prime crew come KTM, fino allo sdoganamento dei «graffitari» negli ultimi dieci anni, con iniziative che hanno portato a esibirsi alle spalle del Lotto K i migliori writers in circolazione.
«Raro» al lavoro
«Raro» al lavoro
Con messaggi, tecniche, sensibilità diverse, i muri di Scampia sono stati e sono ancora terreno fertile per spray e pennelli. Gianluca, 22 anni, si firma Raro dopo un episodio: «Mangiavo una pizza seduto a terra con gli amici, passa uno e ci dice: ma che fate buttati’ncopp ’o rar», sul marciapiede? Ha schizzi di arancione dai capelli ai jeans: sta «pittando» con un rullo dal manico allungato su un balcone di una delle Vele, gli edifici triangolari che sulla Costa Azzurra sono un’attrazione architettonica e qui significano degrado. L’aiuta un apprendista writer, Eko, 16 anni, e sta andando bene, anche perché in questa porzione di Vela non ci abita nessuno. «L’altro giorno ci stavano prendendo», non s’erano accorti di disegnare davanti ai Carabinieri. Un rimprovero, qualche bomboletta persa, niente di più.
Facciamo un giro per i muri che ti sembrano più importanti, quelli con i disegni più belli? «I muri importanti sono quelli che si possono ancora dipingere», risponde Gianluca, coerente con la sua battaglia per ottenere uno spazio legale «dove uno può stare tranquillo». Sperimentare, crescere, fare scuola. «Quando dipingo arrivano per primi i bambini, io cerco di coinvolgerli, perché qui alla fine hanno solo il pallone». Non importa se fanno dei pois sbilenchi su una bella scritta su fondo azzurro e drago che sbuca. Il lavoro del writer è spesso collettivo e didattico. Ma se il muro è «rubato», c’è sempre il dubbio che s’affacci la signora del piano di sopra e si metta a gridare. «Anche se a volte qualcuno mi dice: "Che bello!"». «Se c’è il rischio che mi caccino - continua Raro -, sono costretto a cercarmi uno spazio secondario, dove nessuno mi vede». E alla fine non si nota nemmeno il graffito. Con poco tempo, poi, non si lavora bene: «Finisce che fai solo uno scippo», un segno veloce, «e te ne vai».
Gianluca guida per Scampia indicando la sua tag, la firma che s’affaccia tra i palazzi e dietro agli angoli, e alla fine svolta su via Hugo Pratt. Qui, nel marzo di un 2005 elettorale, con il via libera delle autorità, arrivarono 48 writer a dipingere 167 metri di grigio (così è chiamata la zona, «la 167», dal numero della legge per l’edilizia popolare). Tra questi c’era Army, oggi 28 anni, che con Raffo e Deor ha regalato al quartiere un’opera-simbolo: le Vele che degradano dal grigio verso i colori accesi della figura dominante, la bimba con la margherita. «Un’immagine apparsa su giornali e siti Internet - scrive Army in un’email -, qualcuno l’ha usata come copertina del proprio libro, qualcuno ha girato dei video (il gruppo Co’Sang per il brano Int’o rion). Ma la soddisfazione più grossa, l’unica, sono stati i ragazzini che l’hanno usata come sfondo per le foto di Comunione e compleanni».
I colori della periferiaI colori della periferia    I colori della periferia    I colori della periferia    I colori della periferia    I colori della periferia    I colori della periferia    I colori della periferia
Ha un significato particolare disegnare a Scampia? «Non pensate al ghetto del tipo americano», che viene in mente per i rapporti tra graffitari e hip hop, per i cappucci e le felpe extralarge, per le suggestioni da Figli di un Bronx minore (la raccolta di racconti di Peppe Lanzetta del ’98). Per Army il lavoro nel Nord napoletano «non è legato al desiderio di riscattarsi da una condizione di emarginazione». «Si arrivava a Scampia - spiega lui che viene da Secondigliano, poco distante - alla ricerca di un muro disponibile». Non è tanto la voglia di farsi conoscere, quanto la spinta più artistica di «usare lo spray». Come Maria, che ha adoperato la bomboletta per scrivere sulla vostra opera «Ti amo Carmine»? «Non saprei neanche da che parte iniziare per farle capire che questo non è rispetto». Così come non gli sembra civile l’abitudine, diffusa tra crew «rivali», di coprirsi a vicenda.
Vista dall’angolazione dell’educatrice, però, quella di Chiara Ciccarelli, è anche «un interessante modo di osservare la canalizzazione della violenza tra giovani che non si esprime concretamente, ma su azioni di cross: disegnare sui graffiti degli altri». Chiara tiene affettuosamente d’occhio i ragazzi, writer compresi, dal Centro territoriale Mammut, un’oasi nel deserto della piazza ex Grandi Eventi di Scampia (distesa di mattonelle senza alberi che è anche il più vasto mercato di droga a cielo aperto d’Europa). Una boa a cui s’aggrappano bambini, adolescenti, famiglie intere, tra corsi, laboratori e feste. Una di quelle realtà in cui si vedono germogliare i semi sparsi da Felice Pignataro, l’artista de «L’utopia sui muri», a Scampia nel ’72, fondatore nell’81 del Gridas (Gruppo di risveglio dal sogno), morto nel 2004 prima di riuscire a vederne i frutti. «Molte persone hanno raccolto, senza che lui lo sapesse - dice la moglie Mirella -. Più che nel dipingere, nella maniera di vivere». Nelle scuole, ma anche sui muri ai margini delle strade ci sono ancora i girotondi di Felice, ma stanno scolorendo. «Abbiamo deciso di non intervenire sui murales - spiega Mirella -: sono una maniera rapida di comunicare qualcosa a qualcuno in quel momento. Affidare ai muri il messaggio corrisponde anche alla scelta di non fare un’opera per l’eternità. Gridare dai tetti la verità che senti dentro», e lasciare che si diffonda. Come un passaparola, in cui i segnali cambiano a seconda di chi li recepisce.
Un pezzo di muro in via Hugo Pratt (foto di Alessandra Coppola)
Un pezzo di muro in via Hugo Pratt (foto di Alessandra Coppola)
Monica Riccio, che ha disegnato da bambina con Pignataro, adesso studia all’Università ed è una cantante di indie-rock conosciuta nel quartiere, nonché fidanzata di Gianluca, che la interroga: che cosa pensi di graffiti e murales a Scampia? «Sono una bella forma d’arte - risponde lei -. Mi piacciono se sono colorati, perché c’è già troppo grigiore, se riescono a trasmettere qualcosa».
Ma è arte davvero? Cyop&Kaf, i più conosciuti street artist napoletani hanno cominciato così, con la storica KTM, per arrivare poi a sperimentare tecniche diverse, fino alla ceramica raku, raggiungendo quotazioni di tutto rispetto. «Non c’è differenza - risponde uno dei due (niente nomi) - è un prosieguo: c’è chi si ferma solo al graffito chi vuole andare avanti». Il marchio d’origine non si rinnega: «Sono esperienze che ti avviano, fanno parte del percorso». KTM resta «come un tatuaggio, qualcosa che c’è ancora». Meglio la periferia o i l centro per lavorare? «Ovunque va bene», luoghi come Scampia «si prestano perché hanno più spazi, ma non significa poterlo fare più tranquillamente, anzi a volte ci sono più problemi in periferia dove un muro grigio viene difeso come un monumento...». Favorevole ai graffiti legalizzati? «Gli spazi vanno conquistati, i permessi sono buoni se arrivano, ma non bisogna starci troppo appresso». Certo, «non mi sentirei di dire a un ragazzino che inizia: fallo ovunque. Capisco il bisogno di avere un posto dove potersi allenare». Il problema è che manca «un’istituzione fisica a cui chiedere». E alla fine, «fai prima a fare il disegno», lanciare il seme e lasciare che si trasformi in fiore.
Alessandra Coppola
26 aprile 2011(ultima modifica: 27 aprile 2011) corriere.it